a cura della Dott.ssa Cinzia De Padova – Etnologa
PremessaIn questa pagina mi propongo di presentare non solo la figura di S. Ciro, di cui oggi disponiamo di numerose biografie e opere letterarie, ma l’origine del suo culto nelle diverse località italiane, senza perdere di vista o trascurare la storia e gli eventi che lo hanno determinato e che nel tempo hanno plasmato le tante forme di devozione, che i diversi luoghi offrono a questo Santo. È impossibile separare un rituale festivo dal contesto storico – culturale che lo ha prodotto, quindi per comprendere a pieno, lo sviluppo di una devozione verso un santo, è estremamente importante studiare accanto alle pratiche liturgiche ufficiali, una serie di pratiche e credenze popolari che con esso si innescano. Infatti, molti paesi pur avendo lo stesso Santo come patrono, hanno modalità di festeggiamento diverse sia dal punto di vista calendariale – liturgico sia popolare, proprio perché ogni festa patronale trae origine da storie particolari, leggende o fatti ritenuti miracolosi. Anche la scelta della data in cui celebrare la festa appartiene a storie locali; in alcune località la data può rifarsi al giorno della morte naturale o del martirio (dies natalis), in altri all’arrivo delle reliquie. Partendo, sempre, dalla figura di S. Ciro, mi inoltrerò in tutto quell’universo di segni rituali e valori che la Chiesa, attraverso la figura dei santi, cerca di proporre, prendendo in esame alcuni aspetti del rapporto forte che intercorre tra liturgia ufficiale e devozione popolare.
La StoriaSan Ciro è nato ad Alessandria d’Egitto nel III secolo. Molte notizie sulla Sua vita, sono giunte a noi attraverso la tradizione orale, per questo motivo non possiamo parlare di date certe sulla nascita e sulla martorizzazione, ma solo in termini di secoli. Infatti, la tradizione orale, nonostante sia una fonte di inestimabile valenza, non può essere considerata come fonte storica certa, poiché nel tramandarsi porta con sé oltre le notizie vere molte leggende. Dai racconti di Sofronio, suo primo biografo, San Ciro aveva scelto la carriera di medico, guadagnandosi l’appellativo di anargiro (senza argento); infatti a differenza di altri dottori, non si limitava ad assistere i pazienti che potevano pagarLo, ma aveva aperto nella sua casa uno studio, dove prestava gratuitamente le sue cure, soprattutto ai poveri. Alcuni biografi tra cui il Pazzini ritengono l’affermazione di Sofronio, riguardo l’arte medica esercitata da San Ciro, priva di valore storico. Egli, infatti, afferma: “I documenti agiografici in cui non è obbligatorio il preciso linguaggio dello storico possono chiamare con l’appellativo medico un martire o un propagatore della fede, usando un linguaggio simbolico o intendendo un medico delle anime. Possono anche chiamare medico un taumaturgo che si sia reso illustre per una quantità di miracoli medici compiuti sia in vita che in morte. Lo storico, chiamerà medico colui che avrà compiuti i necessari studi o che, per lo meno, eserciti questa professione in modo puramente umano”. Nel 299, per sfuggire alla persecuzione del Prefetto Sirano, si ritirò in Arabia, conducendo una vita eremitica; durante questo periodo di eremitaggio, ebbe come suo discepolo Giovanni di Edessa, un soldato romano, sfuggito all’editto di epurazione contro i soldati cristiani, emanato da Diocleziano. S. Ciro e S. Giovanni, vissero, insieme, nel deserto per quattro anni dediti alla preghiera e alla vita contemplativa. Nel IV sec. scoppiò una feroce persecuzione contro i cristiani, durante la quale, a Canopo, furono arrestate quattro cristiane, Atanasia con le figlie Teotista, Teodata ed Eudossia. S. Ciro e S. Giovanni, venuti a conoscenza dell’accaduto, per sostenerle spiritualmente, affinché non abiurassero la religione cristiana, si recarono anche loro a Canopo dove vennero arrestati e sottoposti a terribili torture. Il 31 gennaio del 303, S. Ciro e S. Giovanni di Emessa furono decapitati. San Ciro è un santo dei primi secoli del Cristianesimo, nonostante in Italia sia titolare di diverse chiese e in alcuni paesi addirittura patrono principale, nessun calendario liturgico riporta il suo nome. Nel calendario generale, al 31 gennaio, giorno in cui in molti paesi si festeggia il Santo, non è segnato il nome di S. Ciro, ma quello di S. Giovanni Bosco. Dopo la riforma del 1970, al 31 gennaio è riportato San Giovanni Bosco, in una data dedicata fino al 1942 a S. Giulio, poi riportato al 5 dicembre. Il nome di S. Ciro è riportato solo nei calendari locali laddove il santo è venerato. Fin dal II secolo, la Chiesa ha collocato in momenti fissi tutte le feste religiose che caratterizzano lo scorrere dell’anno. Il ciclo dell’anno liturgico, così come si svolge attualmente è il frutto di un lungo processo di riforme iniziato con Pio X – che ha visto la Chiesa confrontarsi e scontrarsi con ideologie, eventi culturali, religiosi, politici ed economici – e conclusosi, il 4 febbraio 1969, con Paolo VI, che ha approvato il nuovo calendario romano. Questo, per Decreto della Sacra congregazione dei Riti in data 21 marzo 1969, è entrato in vigore il 1° gennaio 1970. Il calendario riformato, oltre ad essere il risultato di un attento equilibrio tra celebrazioni che possono assumere diverso valore e importanza, è anche, caratterizzato da una diminuzione del numero delle feste dei santi e della loro classificazione liturgica. Il nuovo calendario ha accettato solo un ristretto numero di santi riconosciuti dalla Chiesa Universale, altri sono stati cancellati da questi, in quanto non solo non si può affermare che essi siano esistiti, ma non si può neppure stabilire con certezza i fondamenti storici del loro culto. Insieme a nomi poco diffusi, sono stati eliminati altri molto popolari, la cui celebrazione è limitata, ora, alle chiese locali, alle diocesi e ai paesi. A questo argomento, il Direttorio della Congregazione per il Culto Divino, dedica alcune pagine, riconfermando che “le feste dei Santi non abbiano a prevalere sulle feste che commemorano i misteri della salvezza”. Se le soppressioni obbediscono a rigorosi criteri teologici, hanno tuttavia suscitato molte riserve e alcune volte sono state giudicate inopportune; infatti, molti dei santi cancellati sono ancora oggi radicati nella devozione dei fedeli, e S. Ciro è uno di questi. Tale esclusione non significa, tuttavia, eliminazione dal Martirologio romano, ovvero dal catalogo di tutti i santi venerati dalla Chiesa. L’uso dei martirologi risale ai pagani: infatti, il nome degli eroi veniva annotato negli annali nazionali, al fine di tramandarne la memoria. Il nuovo calendario liturgico, non solo ha approvato un ristretto numero di santi, ma li ha anche divisi in quattro gruppi: – al primo gruppo, appartengono i santi celebrati nelle feste liturgiche più solenni; – al secondo, i martiri e gli apostoli; – al terzo i santi di cui si ricorda solo la memoria; – al quarto, coloro che si celebrano in modo facoltativo. La celebrazione di molti santi è stata proposta come facoltativa, secondo l’interesse che essa può avere per determinate chiese. Tra queste celebrazioni facoltative è stata inclusa anche quella di S. Ciro. Le varie diocesi possono inserire queste memorie nei loro calendari particolari; infatti, non tutti i nomi eliminati dal calendario, rappresentano santi che non vengono più riconosciuti come tale. Ciò ha portato alla creazione, accanto al calendario generale, di calendari particolari, a uso di una chiesa, di una diocesi, che contengono le celebrazioni di santi festeggiati nel loro interno. In questo modo, il nuovo calendario ha cercato di esprimere l’universalità del concetto di santità nel tempo, nello spazio e nella società. Nel nuovo calendario liturgico, oltre alla scomparsa di alcuni nomi di santi, sono state spostate anche alcune ricorrenze tradizionali, in quanto la data di tali celebrazioni era stata scelta con criteri diversi dai principi oggettivi, stabiliti recentemente dalla Chiesa. Il principio più importante è quello secondo cui la festa di ciascun santo deve essere fissata nel giorno della sua morte, giorno che la Chiesa considera di nascita a nuova vita: dies natalis. Se il giorno celebrativo scelto è già occupato dalla celebrazione di una solennità o di una festa o di una memoria obbligatoria, si cerca di trovarne un altro, il più vicino possibile al giorno commemorativo per eccellenza, oppure si fissa la festa nell’anniversario della traslazione del corpo del santo. Determinanti, per lo spostamento in date diverse di molte feste, sono la Quaresima e la Settimana Santa, essendo celebrazioni dei santi misteri della Chiesa. Accanto al calendario generale liturgico e ai calendari particolari a uso di una chiesa, si trovano i calendari emessi dalle strutture religiose, che hanno come scopo principale quello di raccogliere le offerte da destinarsi ai fondi della parrocchia o alle opere umanitarie. La maggior parte di questi calendari è stampata a cura delle Organizzazioni missionarie o degli istituti che accolgono gli orfani. Le immagini stampate su questi calendari sono molto più simili a quelle che si trovano sui santini, che non su altri calendari: ritratti di santi o oggetti legati in qualche modo alla liturgia; di solito sulla copertina compare ben visibile il nome dell’istituto cui sono destinate le offerte. A partire dal XVI secolo, il calendario viene utilizzato come strumento di propaganda, la stessa Chiesa utilizza questo piccolo foglio, per proporre a tutti, anche a chi non sapeva leggere, comportamenti di vita cristiana da seguire; infatti tra la fine del Quattrocento e la metà del Cinquecento, erano diffuse pubblicazioni, che rappresentavano un anno intero, ma invece di incolonnare i 365 giorni tra il 1° gennaio e il 31 dicembre, erano formate da una serie di proverbi sulle stagioni o i lavori agricoli, da immagini dei santi più importanti o da previsioni astrologiche. Calendari che parlavano un linguaggio molto semplice, che poteva essere compreso facilmente, anche da coloro che non sapevano leggere.
Il Culto a GrottaglieHo voluto iniziare questa ricerca descrivendo la festa di San Ciro a Grottaglie, un paese in provincia di Taranto. Pur conoscendo il legame stretto tra Grottaglie e S. Ciro, perché io stessa vivo in questa cittadina, la prima volta che mi sono accostata in modo specifico al culto verso questo Santo, è stata proprio durante le ricerche per la mia tesi di laurea. Poiché il lavoro richiedeva, oltre che una documentazione storica rigorosa, anche una ricerca sul campo, sono venuta a contatto con la folla dei “devoti di S. Ciro”. Stupisce come a Grottaglie, un centro i cui patroni principali sono la Madonna della Mutata e S. Francesco De Geronimo, la festa di S. Ciro, patrono secondario, e la devozione popolare verso questo Santo mostrino vertici culturali eccezionali. L’introduzione del culto risale al 1707, quando S. Francesco De Geronimo inviò da Napoli un simulacro, raffigurante il Santo, e alcuni frammenti delle reliquie. A Grottaglie attualmente sono presenti tre simulacri che effigiano S. Ciro: il mezzo busto inviato da S. Francesco De Geronimo, conservato nel monastero delle clarisse; la statua portata in processione, conservata nella chiesa di S. Francesco di Paola e il terzo simulacro collocato in una nicchia all’interno del “cappellone” della Chiesa Madre. Al centro di quest’ultima è posto un medaglione, al cui interno la tradizione afferma siano conservati alcuni frammenti della reliquia di S. Ciro, inviata a Grottaglie. Parlo di tradizione in quanto non sono riuscita a consultare nessun documento che possa attestare la reale presenza della reliquia, come anche la sua autenticità. Ciò nonostante è proprio a questo reliquiario che i fedeli si rivolgono per ottenere grazie. Molte credenze popolari, riguardanti eventi miracolosi, si sono create, infatti, attorno a questi simulacri A Grottaglie – a differenza degli altri paesi limitrofi, dove la festa patronale ricade nella stagione primaverile o estiva – la festa in onore di S. Ciro si svolge nel cuore dell’inverno, ogni anno il 30 e il 31 gennaio si svolgono i festeggiamenti solenni in onore del Santo. La tradizione orale spiega tale scelta, attribuendo alla stessa volontà di S. Ciro il festeggiarlo in quella data. Dal narrato di alcune persone anziane sono venuta a conoscenza che in più occasioni si è cercato di spostare la festa nel mese di agosto, ma ogni volta il cattivo tempo non solo ha creato problemi allo svolgimento della stessa, ma ha distrutto anche tutto il raccolto. È così la festa patronale è rimasta nella data invernale. I festeggiamenti hanno ufficialmente inizio la domenica precedente il primo giorno della novena e terminano la domenica successiva al 31 gennaio. Tale ricorrenza richiama da quasi due secoli folle di visitatori, provenienti dal Tarantino e dal Salento, questa festa a differenza di quella dedicata a S. Francesco De Geronimo e alla Madonna della Mutata, non si presenta solo come un festeggiamento collettivo del Santo, ma è anche un momento di aggregazione per i Grottagliesi: è l’unica festa religiosa oltre il Natale, che spinge molti emigrati a ritornare. Questa affluenza di devoti sia alla cappella di S. Ciro, sia alla processione, si ha perché in tutti vi è la convinzione della potenza taumaturgica del Santo; infatti ogni anno gli si attribuiscono fatti miracolosi. Della realizzazione dei festeggiamenti religiosi si occupa il parroco della chiesa matrice, mentre alla realizzazione dei festeggiamenti civili, provvedono due comitati: il Comitato di “Piazza S. Ciro” e quello del quartiere “Sant’Elia”. Il primo organizza tutti i festeggiamenti del 30 e 31 gennaio, il secondo quelli della domenica successiva al 31 gennaio. Il 30 gennaio, la vigilia della festa “grande”, si entra nel vivo della festività. Fin dalle prime ore del mattino, si avverte un’atmosfera diversa dal solito, sia per le strade che nella chiesa. In chiesa vi è un affluire continuo di devoti, non solo locali. Qui oltre alla celebrazione delle sante messe, si può assistere ad una pratica devozionale, detta “guardia a S. Ciro. Questa usanza, molto antica, consiste essenzialmente nel pregare e “vegliare”, quasi sempre digiuni – il digiuno è inteso, fin dall’antichità, come mezzo per porre l’individuo in condizioni di purezza rituale – davanti all’immagine del Santo. Anche in piazza S. Ciro, dove si svolge la pira, si respira aria di festa, i madonnari, artisti ambulanti, fanno a gara nell’offrire le più belle immagini del santo, dai morbidi e pastosi colori dei gessetti. La festa di S. Ciro a Grottaglie, come si presenta oggi, è il risultato di numerosi cambiamenti, dovuti sia alle contingenti esigenze dei devoti, sia della Chiesa stessa. Tra i vari cambiamenti, due, in particolare, hanno maggiore rilevanza, poiché hanno apportato alla festa sostanziali modifiche. Il primo è quello di aver ridotto i festeggiamenti in onore del Santo ad un’unica data, il 31 gennaio. Infatti, fino al 1887, come dimostrano alcuni resoconti relativi alla festa, Grottaglie offriva a S. Ciro solenni festeggiamenti in due momenti dell’anno: il 31 gennaio e il giorno della Pentecoste. La documentazione locale scritta, però, non fornisce elementi sufficienti per spiegare la scomparsa della festa nel giorno della Pentecoste. Il secondo è il passaggio della gestione della festa dalla congrega del SS. Rosario, al parroco della collegiata, subendo però un forte impoverimento per quanto riguarda le manifestazioni religiose, civili e “popolari”. Tale impoverimento riguarda principalmente il novenario. Fino al 1967, vi erano ancora due elementi interessanti che caratterizzavano la novena: il primo era l’unzione con l’olio di S. Ciro. Per nove giorni, ogni sera, al termine della novena, tutti i fedeli presenti alla funzione venivano unti col sacro olio. Accanto alla cappella dedicata al Cuore di Gesù, veniva posto un tavolino con piccoli fori sui quattro lati per le offerte dei devoti. Su questo si collocava un vassoio in argento con sopra un’artistica brocca, sempre in argento, contenente l’olio santo. Qui un sacerdote, in cotta e stola, ungeva con una piuma intinta nell’olio consacrato, la fronte dei fedeli che gli si accostavano, recitando la seguente formula: “per intercessione di S. Ciro e per questa sacra unzione, il Signore ti liberi dal peccato e da ogni male!”. Il secondo elemento caratteristico del novenario era la recita delle litanie di S. Ciro. Tre sacerdoti, i nove giorni della novena, occupavano il cappellone di S. Ciro e qui recitavano per tutto il giorno, le litanie di S. Ciro, terminanti con un responsorio. Un altro elemento caratteristico, ma scomparso, della festa di S. Ciro, era la processione che la sera del 30 gennaio si snodava dalla collegiata, per la rituale benedizione della pira. La processione era composta dal crocifero, una rappresentanza di confratelli del Rosario e il Capitolo, preceduti dalla banda cittadina e seguiti dalla folla dei fedeli. Per l’occasione, il Capitolo, composto da preti, mansionari, canonici e arciprete, indossavano dei paramenti particolari, oggi non più in uso; i preti indossavano il talare con cotta bianca, i mansionari la cappa ornata con code di ermellino e l’arciprete vestiva con cotta, stola e piviale rosso. Ma è il 31 gennaio il giorno in cui la festa raggiunge il suo apice. Elemento caratteristico di questa giornata, è la processione che si snoda per le vie del paese. Le messe tenutesi per tutta la mattinata, terminano alle 13. La statua lascia la collegiata alle 13.30 in punto, portata a spalla da quattro esponenti delle confraternite locali. Tutta la piazza, antistante la chiesa matrice, è piena di devoti e fedeli, che partecipano alla processione, insieme a turisti e forestieri, giunti a Grottaglie per assistere a questa “grande” festa. Non si può stabilire con esattezza quanti siano i devoti che ogni anno partecipano a questa processione, sia per l’affluenza iniziale, sia perché numerosi fedeli si aggiungono al passaggio della stessa. Questa processione che dura cinque ore, parte dal sagrato della collegiata e procede per le vie principali del centro storico, sino ad arrivare a Piazza S. Ciro, per poi ritornare giù per il centro storico sino alla collegiata. Il rito segue un ordine processionale ben preciso, che riguarda non solo le confraternite, ma anche i partecipanti: ad aprire la processione è lo stendardo della congrega del SS.mo Nome di Gesù, seguito dagli stendardi delle altre congreghe, il Carmine, SS.mo Rosario e SS.mo Sacramento. L’ordine rigoroso seguito dalle confraternite è quello di anzianità delle fondazioni delle stesse: dalla più giovane alla più anziana, che è quella più vicina alla statua. L’ultima confraternita, poi, è seguita da un crocifero, affiancato da due chierichetti, seguono disposti su due file 10 chierichetti (coordinati da un liturgista) e quattro seminaristi; subito dopo viene l’arciprete della collegiata, accompagnato dai due presbiteri. L’arciprete sorregge un reliquiario bronzeo, che racchiude una reliquia di S. Ciro. Precedono la statua altri due chierichetti con la cassetta per le offerte e la seguono i membri del Consiglio comunale e una rappresentanza dei medici locali; quindi la banda e la fiumana interminabile di devoti. Per i devoti l’ordine da rispettare è il seguente: tra le prime file devono esserci i devoti a piedi scalzi, poi quelli con il cero votivo e in fine il resto dei fedeli. Quel che oggi emerge di diverso, sembra essere il superamento di alcune forme estreme di religiosità “popolare”, con un conseguente accostamento a quelle che sono le direttive cultuali proposte dalla Chiesa, dopo il Concilio Vaticano II. Altra componente essenziale della festa di S. Ciro a Grottaglie, oltre la tradizionale processione per le vie del paese del simulacro del santo, è rappresentata dalla pira – una monumentale catasta lignea. Questa è formata da una eccezionale quantità di legna di vario genere: tronchi enormi, ceppi e rami di ulivo e pino, sarmenti e altro materiale legnoso, depositato in parte dai devoti e in parte acquistato dal Comitato festa. La pira è a forma di piramide, in modo tale da creare una camera da cui il fuochista farà partire l’accensione. Alla sua sommità, viene posta una immagine del Santo. Con la pira si intende rappresentare, simbolicamente, il martirio di S. Ciro, prima di essere decapitato. La pira dovrebbe avere, per motivi di pubblica sicurezza, l’altezza e il diametro di circa sei metri; in verità ha sempre dimensioni maggiori, raggiungendo spesso l’altezza di dieci metri e la circonferenza di venti metri circa. L’impegno con il quale si organizza tutto il lavoro della pira sino alla sera della vigilia, per abbellire e sistemare nel migliore dei modi la costruzione lignea, dimostra quanto questa usanza sia considerata dalla popolazione un elemento inalienabile della festa, a cui molti scrittori e poeti hanno dedicato dei lavori. Il 30 gennaio, dopo la messa vespertina, che chiude il novenario, ha inizio il rituale della benedizione della pira. Dopo il rito, prima che il fuochista, accompagnato dal sindaco, proceda all’accensione del falò, si assiste ad un suggestivo spettacolo pirotecnico. Il fuoco illumina la piazza per tutta la notte e il giorno seguente. La pira nel corso degli anni, non ha avuto sempre la stessa collocazione, ma ha un po’ seguito lo sviluppo edilizio di Grottaglie. Inizialmente, come attestano alcune foto d’epoca, si accendeva in piazza regina Margherita, di fronte alla collegiata; per diversi anni si è accesa in Piazza Vittorio Veneto; per altri, in Piazza Verdi. Dal 30 gennaio 1981, la pira si è accesa in piazza S. Ciro. Questa nuova collocazione della pira suscitò parecchi problemi, poiché l’iniziativa non piacque né al Comitato né ai devoti del quartiere Sant’Elia, dove la pira si era tenuta per undici anni. Come segno di disapprovazione nei confronti di tale cambiamento, il Comitato di quest’ultimo quartiere, con l’appoggio dei fedeli della zona, ha continuato ad accendere il 30 gennaio la pira; e così, per undici anni a Grottaglie si sono allestite due pire. Tale controversia ha creato divergenze e divisioni che rivela una sorta di antagonismo nell’organizzare i festeggiamenti, divisi in due zone diverse del paese. Finalmente, nel 1996, l’Amministrazione comunale ha deliberato che, pur restando due, le pire si sarebbero accese in due momenti distinti, una il 30 gennaio in piazza S. Ciro e l’altra la domenica successiva, prolungando in tal modo i festeggiamenti di un’altra settimana. Come per altri rituali, dunque, anche l’uso dei falò che caratterizza alcuni giorni di festa dedicati a particolari santi, si riscontra in molti rituali precristiani. Dove il fuoco assume uno straordinario significato magico-religioso. Un esempio di utilizzo del fuoco con questa accezione, ci viene offerto dalle feste che si raggruppavano nel periodo dicembre – marzo. Queste erano dirette a rifondere il ciclo dell’anno e il fuoco, aveva lo scopo preciso di scacciare tutta la negatività, che si era venuta a creare nel corso dell’anno passato. “In molte occasioni le forme, le pratiche, le stesse date in cui si celebrano le feste caratterizzate dall’accensione di falò cerimoniali rinviano in modo evidente a una visione del mondo peculiare delle civiltà agrarie e denunziano in molti casi la loro contiguità con cerimonie di inizio e fine ciclo, di momenti cui segue l’istaurarsi di un tempo qualitativamente differente”. Il mito del fuoco si trova anche nella mitologia classica, associata alla figura di Prometeo. Secondo la tradizione questo dio, salì sull’Olimpo per sottrarre agli dei il fuoco, di cui l’umanità era stata privata ridonandoglielo. Il fuoco nei racconti mitologici è inteso come scintilla di vita e libertà. Nell’ambito del Cristianesimo il fuoco ha assunto valenze del tutto diverse, da elemento propiziatore diviene simbolo di “paura”, rappresentando l’elemento caratterizzante il regno degli inferi. Ancora oggi, intorno ai falò ruota tutto un universo mitico-rituale, un insieme di credenze e comportamenti connessi direttamente al fuoco o al santo per cui si accende. “Tra conflitti e compromessi i falò come altri segni del passato continuano a vivere all’interno dei cicli festivi.” Per quanto riguarda l’accensione dei falò la vigilia della festa è spiegato in due modi: come segno che annuncia l’avvicinarsi della festa marcando l’avvento del periodo festivo, oppure come momento di purificazione del tempo e dello spazio, nonché degli appartenenti alla comunità. Così anche il continuare ad accendere il falò all’interno del centro abitato può essere spiegato come un’operazione di purificazione dello spazio urbano. Quindi intese in questo modo le “cerimonie del fuoco” sono da considerarsi come riti di passaggio: riti di apertura, tappa preparatoria. Il fuoco quindi può avere nell’ideologia “popolare” un valore ambivalente: da un lato di distruzione dei mali e purificazione da ogni negatività, dall’altro di stimolazione e rigenerazione della società, proponendosi come elemento propiziatorio. Anche le girandole e tutti gli spettacoli pirotecnici, che accompagnano una festa, oggi si presentano come semplice manifestazione di gioia, ma, nell’orizzonte tradizionale, hanno una valenza ben precisa: allontanare gli “spiriti maligni”.
foto di Ciro Quaranta